L’Ariosto

Alessandro Benassi
«Non son omo da governare altri omini».
Ariosto commissario in Garfagnana

Una terra di conflitto tra fazioni locali agguerrite e violenti fenomeni di brigantaggio e oggetto di interessi politici tra Ferrara, Lucca e Firenze che ne contesero la posizione strategica. Una popolazione inquieta, sottomessa a queste differenti autorità politiche e vessata da poteri locali ed emergenze criminali.
È qui che Ludovico Ariosto arrivò nel febbraio del 1522 e ciò che egli scrisse un anno dopo, ricordando l’inizio dell’incarico di commissario estense a Castelnuovo, assume toni quasi infernali:

Il vigesimo giorno di febraio
chiude oggi l’anno che da questi monti,
che dànno a’ Toschi il vento di rovaio,

qui scesi, dove da diversi fonti
con eterno rumor confondon l’acque
la Tùrrita col Serchio fra duo ponti…
(L. Ariosto, Satira IV, 1-6)

I dettagli realistici e puntuali della descrizione, la precisione degli effetti sensibili, acustici e visivi, non possono che rievocare precise costruzioni ed effetti dell’Inferno dantesco.

Ma perché Ludovico Ariosto giunse a Castelnuovo? Perché il duca Alfonso d’Este lo inviò a «custodir … il gregge grafagnin»? Per capirlo è necessario prendere in considerazione circostanze politiche, necessità personali ed esperienze amministrative.
Ludovico Ariosto è senz’ombra di dubbio una persona di fiducia della corte estense: nei primi anni del Cinquecento, assiste alla congiura di don Giulio d’Este difendendo poi la repressione attuata dal duca Alfonso e dal cardinale Ippolito, fratello del duca; tra il 1509 e il 1510 compie missioni importanti (e per lui anche pericolose) a Roma, presso il papa Giulio II che non è in buoni rapporti con gli Este; visita il campo della Battaglia di Ravenna dopo il successo di Alfonso nel 1512; l’anno dopo è nella delegazione che omaggia Leone X appena eletto papa. Nel 1517 dovrebbe seguire in Ungheria il cardinale Ippolito: il fastidio del lungo viaggio e l’attaccamento alle sue abitudini, ai suoi spazi, al contesto della corte, però, lo spingono a lasciare il cardinale per restare a Ferrara, passando così al servizio diretto di Alfonso d’Este. Ariosto, dunque, è un uomo di fiducia nella corte, competente e di esperienza. Anche Matteo Maria Boiardo conte di Scandiano e autore dell’Orlando innamorato, il poema che precede e, per certi aspetti, dà ad Ariosto l’ispirazione per il Furioso, è un cortigiano degli Este, ma proviene da una famiglia di alta nobiltà. Ludovico Ariosto, invece, appartiene a una famiglia di nobiltà decisamente minore, la sua situazione economica familiare è costantemente problematica, la sua sopravvivenza dipende direttamente dalla liberalità dei suoi patroni, prima Ippolito e poi, appunto, Alfonso. Proprio in quegli anni, però, Ferrara vive una condizione di profondissima crisi. Le guerre continue hanno considerevolmente impoverito le casse estensi e le necessità di Ludovico vengono soddisfatte a malapena.
Nel dicembre del 1521, infine, muore Leone X de’ Medici, che ha considerevolmente sostenuto gli interessi fiorentini in Garfagnana occupando anche l’area che appartiene al feudo estense. Alla morte del papa, la popolazione di Castelnuovo insorge, scaccia gli inviati medicei e si rivolge ad Alfonso d’Este per rientrare nell’orbita ferrarese, far ristabilire gli statuti del decreto emesso già nel 1430 dal duca Niccolò, e richiedere dunque un commissario estense. Alfonso, dunque, ha bisogno di una persona di cui fidarsi, di cui conosca le competenze e la fedeltà, che, come Ludovico, abbia bisogno di quell’incarico di cui conosce le difficoltà.
Ecco che la scelta per l’incarico di commissario cade su Ariosto che suo malgrado non può che accettare e partire nel febbraio del 1522. Si tratta, poi, di un territorio che conosce bene e, per così dire, profondamente legato alla sua famiglia: già nel 1509, infatti, Ludovico è a Castelnuovo ospite di Rinaldo Ariosto, un cugino cui è profondamente e sinceramente legato e che proprio in quel periodo è, come lui stesso anni dopo, commissario estense. E probabilmente Ludovico passa per la Garfagnana anche nel 1512, in una avventurosa fuga da Roma.

E non si può non osservare che la pratica diplomatica ariostesca emerge chiarissima fin da subito, dai primi giorni dell’incarico. Le prime lettere che Ariosto scrive infatti, sono indirizzate al Podestà fiorentino di Barga e agli Anziani della Repubblica di Lucca: da subito egli cerca di muoversi per stabilire un’azione politica comune che cerchi di sradicare il brigantaggio, chiarisca le competenze e le immunità dei sudditi delle diverse realtà e che garantisca la punizione dei crimini. E un efficace riassunto dei suoi compiti, della sua attività, chiaramente enfatizzato dalla scrittura letteraria, è quello che leggiamo sempre nella Satira IV:

O stiami in Ròcca o voglio all’aria uscire,
accuse e liti sempre e gridi ascolto,
furti, omicidii, odi, vendette et ire;

sì che or con chiaro or con turbato volto
convien che alcuno prieghi, alcun minacci,
altri condanni, altri ne mandi assolto…
(L. Ariosto, Satira IV, 145-150)

La Rocca, quella Rocca che da Ludovico prende il nome, non lo difende dai suoi compiti, dalle necessità amministrative e giudiziarie che sono richieste dal suo ruolo e cui lui si sente profondamente inadeguato: ascoltare denunce di furto, di omicidio, di odio e di vendetta, e nel caso dover agire diplomaticamente o violentemente per riportare quell’ordine, quella legge di cui è fedele esecutore. E qui nasce anche il suo conflitto umano, ciò che Ariosto sente essere la sua incapacità e il suo limite. Rispondere a questi problemi quotidiani, essere il rappresentante di un’autorità politica, dover gestire i rapporti con gli stati confinanti, non appartengono alla sua natura. In una delle numerose lettere che, come rapporto, deve inviare a Ferrara, Ariosto scrive al segretario del duca Alfonso, Obizzo Remo: «io ’l confesso ingenuamente, ch’io non son omo da governare altri omini, ché ho troppa pietà e non ho fronte a negare cosa che mi sia domandata» (Ariosto, Lettere, n. 46).
Ciò che percepisce come suo limite, ciò che spiega essere un ostacolo a una corretta amministrazione si traduce in realtà in una profonda attenzione anche per una minima realtà sociale, di cui Ariosto dà una grande testimonianza in un momento cruciale della storia e della cultura italiana.

Per approfondire
Ludovico Ariosto, Lettere, a cura di Angelo Stella, Milano, Mondadori, 1965
Ludovico Ariosto, Satire, a cura di Emilio Russo, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2019

Maria Cristina Cabani, «Qui vanno gli assassini in sì gran schiera». Ariosto in Garfagnana, Lucca, Maria Pacini Fazzi, 2016
Michele Catalano, Vita di Ludovico Ariosto. Ricostruita su nuovi documenti, Ginevra, Olschki, 1930
Antonio Corsaro, «In questo rincrescevol labirinto». Le satire garfagnine di L. Ariosto, «Filologia e Critica», IV, 1979, 2-3
Carlo Baja Guarienti, «Non son omo da governare altri omini». Ludovico Ariosto commissario estense in Garfagnana, in «Schifanoia. Notizie dell’istituto di studi rinascimentali di Ferrara», 54/55, 1/2 (2018), pp. 83-98
Paolo Marini, L’inferno in Garfagnana. Per una lettura della satira IV di Ludovico Ariosto, in «Giornale storico della letteratura italiana», 649, CXCV (2018), 1, pp. 1-21